sabato 15 febbraio 2014

«La mammografia non salva la vita» La ricerca che divide gli scienziati



Trovo sul Corriere della Sera Salute del 13 febbraio 2014 un articolo dal titolo: «La mammografia non salva la vita» La ricerca che divide gli scienziati
Sovra titolo: Studio su 90mila donne. Gli esperti: la prevenzione non va abbandonata
Sottotitolo: Il responsabile del lavoro: «Almeno per una paziente su 5 la diagnosi di tumore che risulta da questo esame è sbagliata»
La mammografia non salverebbe la vita alle donne. Secondo uno studio canadese, appena pubblicato sul British Medical Journal, lo screening mammografico, cioè l’indagine condotta a tappeto su persone fra i 40 e i 59 anni, non riduce la mortalità per tumore al seno, come ci si aspettava, se confrontato con la palpazione. (…)
PREVENZIONE - «Una cosa è certa - commenta Pierfranco Conte, professore all’Università di Padova e Direttore dell’Oncologia 2 dell’Istituto Oncologico Veneto Irccs (IOV) -. Con gli screening sono aumentate enormemente le diagnosi di carcinoma mammario cosiddetto in situ: un tumore che non dà metastasi, ma che viene però trattato con la chirurgia e la radioterapia». Molti tumori, infatti, possono anche scomparire, ma una volta che vengono intercettati, è impossibile sapere se sono pericolosi oppure no e vengono curati comunque. Secondo molti esperti, però, non è ancora arrivato il momento di cancellare i programmi di prevenzione (nonostante lo si sia già fatto per un’altra neoplasia, quella della prostata, la cui diagnosi precoce viene fatta attraverso la misurazione del Psa, l’antigene prostatico specifico, nel sangue), ma sarebbe prima opportuno rivedere tutti gli studi finora condotti, compreso quello canadese. Che ha il merito di aver coinvolto 90mila donne e di essere durato 25 anni ed è finora il più ampio riportato dalla letteratura medica, ma che ha anche qualche limite. (…)
IDENTIKIT DEI RISCHI - Gli screening, invece, sono costruiti in base al presupposto che la malattia sia unica. Ecco perché anche gli interventi per la diagnosi precoce andrebbero «personalizzati», «tagliati» cioè sul singolo paziente, esattamente come sta avvenendo per la terapia. Allora: se una persona ha familiarità per il tumore, ha un determinato profilo ormonale, ha certe abitudini che riguardano anche la vita sessuale, va seguita in maniera più accurata con i test (che oggi non contano più soltanto sulla mammografia, ma anche sull’ecografia o sulla risonanza magnetica) rispetto a chi non ha tutte queste caratteristiche. «Un identikit dei rischi - dice Di Costanzo - può permettere di individuare le donne che devono essere seguite con più attenzione. Magari anche con un risparmio sui costi».

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