mercoledì 13 febbraio 2013

Le 10 frasi da evitare con le persone malate di cancro


Deborah Orr
(Ultimo aggiornamento 15.02.13)
Chi ha impattato con il cancro si è trovato spesso nelle situazioni raccontate dalla giornalista Deborah Orr. Io, per evitare malintesi e domande imbarazzanti, ho fatto coming out, non sulla mia identità di genere, con l'età diventa ambigua, ma sul mio cancro. Chi vuole sapere come sto e come va, legga i post che scrivo.
Ho già trattato questo argomento nel post Non chiedermi come sto ma sorridimi e in quello  Quando le parole feriscono i malati come coltelli.
Trovo sul corriereweb.net una buona  sintesi e traduzione dell'articolo dal titolo "10 things not to say to someone when they're ill" (10 cose da non dire alle persone ammalate, sottinteso tumore) di Deborah Orr, pubblicato sul quotidiano inglese "The Guardian" , mercoledì 18 aprile 2012.
E' interessante leggere anche il post, con lo stesso titolo, che ho trovato sul blog  " Il Codice di Hodgkin" postato da RominaFan il 26 aprile 2012. Romina conclude l'elencazione dei suoi 10 punti con queste frasi: Ricordiamoci sempre che un malato di cancro non deve essere trattato come un cancro. Deve essere trattato come una persona. LA MALATTIA NON VA MAI ANTEPOSTA ALLA PERSONA. Se si è in confidenza, vanno bene battute di spirito, umorismo nero, sincerità e domande. Se non si sa cosa dire e si è fortemente in imbarazzo, anche il silenzio può essere una buona soluzione. Tanto il malato capisce che interfacciarsi con lui può essere difficile.
Molto interessante anche il post dal titolo: Angela Pasqualotto: Il peso delle parole

Ma torniamo all'articolo di Deborah Orr
Le 10 frasi da evitare con le persone malate di tumore: la testimonianza di Deborah Orr
Quello che nessuno dice rispetto a malattie come il tumore, è che il malato diviene di colpo il centro di una serie di attenzioni ‘eccezionali’ da parte della famiglia e gli amici. “Questa è una cosa carina. Anzi, l’unica cosa carina”. Così Deborah Orr, giornalista del Guardian da poco uscita dalla fase post-operatoria più critica a seguito di una diagnosi di cancro al seno ricevuta la scorsa estate, che ha deciso di stilare un decalogo delle 10 frasi da non dire a un malato grave per “essere l’amico che serve, che tu vuoi essere”.
Le 10 frasi da evitare con le persone malate di tumore: la testimonianza di Deborah Orr.

1. “MI DISPIACE PER TE”
“È incredibile il numero di persone che crede che faccia sentire alla grande essere oggetto di compassione”, esordisce la cronista rispetto a questa frase che spesso si è sentita dire da familiari e amici. E bisogna stare attenti a non dire “mi dispiace per te” con i propri occhi, in quanto il risultato non cambia: proviamo a immaginare come ci sentiamo quando siamo oggetto della compassione degli altri? Davvero si pensa possa avere una funzione protettiva?
La giornalista del Guardian, in merito, racconta un aneddoto relativo a un suo amico che era davvero bravo a esprimere con lo sguardo questo stato d’animo, il “doleful-puppy-poor-you gaze”, la cui traduzione risulta difficile (sguardo “tu-povera-dolente-cucciola”), ma che esprime la profonda ironia con cui la Orr affronta il tema, ricordando che proprio in funzione di questa ‘competenza’ del suo amico, lei usava andare spesso a pranzo fuori con lui, così da poter continuare a ridere imponendo all’amico di ripetere il famoso sguardo.
L’alternativa che propone l’autrice è: “speravo così tanto tu non dovessi passare per un momento così terribile”. Una frase che riconosce al malato il suo essere un partecipante attivo nel dramma che sta vivendo, e non una vittima indifesa.

2. “SE QUALCUNO PUÒ SCONFIGGERE QUESTA MALATTIA, SEI TU”
Non ottiene il risultato sperato sentirsi dire che bisogna combattere con la malattia, “come una sorta di cavaliere medioevale in una campagna romantica”. Assoggettarsi alla scienza medica nella speranza di una cura, per quanto possa sembrare diverso, non è altro che questo: una sottomissione. L’idea che la malattia, continua l’autrice, sia un test al proprio carattere, con la guarigione solo per i valorosi, “è superficiale al punto di passare per un insulto”. Meglio dire: “mia madre ha avuto la stessa malattia 20 anni fa, e ora sta viaggiando in giro per il mondo con un circo acrobatico”, scrive la giornalista, rimarcando la necessità di esporsi solo se si tratta della verità.

3. “TI TROVO PROPRIO BENE”
Nessuno vuole sentirsi dire che le restrizioni che è costretto a sopportare a causa della malattia e/o dell’ospedalizzazione sono invisibili agli occhi degli altri. Non si è mai troppo malati per guardare allo specchio e rendersi conto dei segni sul proprio viso della malattia, quanto della sua cura. Nessuno vuole sentirsi dire ridicole bugie, sono imbarazzanti sia per chi parla che per chi ascolta. Qualora voglia parlare del suo aspetto esteriore sarà lo stesso malato a aprire la discussione, e se ci si trova in questa situazione la cosa migliore è prendere spunto dalle sue parole.

4. “HAI UN ASPETTO TERRIBILE”
Anche il messaggio opposto al precedente, come potrebbe risultare del tutto intuitivo, non può certamente sortire un effetto benefico per il ricevente. La giornalista racconta di una amica che continuava a confermarle la possibilità di fare una dieta ferrea con l’avvenuta guarigione, cosa che non la sconvolgeva particolarmente, se non fosse stato per la busta strabordante di dolci e snack con cui questa amica si presentava a trovarla. Dieta che la Orr dice di non aver intrapreso neanche ora, in quanto non le sembra essere più così tremendamente importante l’idea di aver preso qualche chilo.
Ancora una volta la soluzione sta nell’aspettare l’incipit del malato che qualora dica: “Non ho un aspetto orribile?” potrebbe stare chiedendo di essere aiutato a ridere un po’ su se stesso e confortato della possibilità che anche questo passerà.

5. “FAMMI SAPERE I RISULTATI”
“Stranamente, una persona non ha nessuna voglia di sentirsi obbligato a divulgare, sullo stile social network, nel momento in cui torna da lunghi, complicati, stressanti e invasivi test, che in ultima analisi consegnano notizie che semplicemente non si volevano sentire”.
Il significato legato a un messaggio del genere è evidente: si tratta di preoccupazione. Tuttavia, seguendo le parole della Orr, è più facile sopportare un po’ di preoccupazione rispetto alla notizia che conferma che sta per iniziare un altro giro di trattamento debilitante, tanto per il corpo quanto per l’anima. Se una persona malata vuole veramente parlare di una cosa del genere, è giusto abbia il controllo rispetto al quando, al come e al chi contattare in merito alla propria condizione.

6. “QUALUNQUE COSA POSSA FARE PER AIUTARTI, SONO A TUA DISPOSIZIONE”
“Al di la di tutto, è noioso”, commenta sul Guardian la giornalista. E, inoltre, suona come un’ulteriore responsabilità – quella di dover individuare un compito per l’emittente del messaggio – a una persona che deve già confrontarsi con innumerevoli richieste. È preferibile individuare da sé mansioni da poter svolgere, come: “Posso andare a prendere i tuoi figli all’uscita di scuola martedì?” o “Posso venire con una torta e un gioco da tavolo?”.

7. “OH NO, LE TUE PREOCCUPAZIONI SONO INFONDATE”
Specialmente quando si tratta di preoccupazioni fondate. La giornalista riporta la sua “sproporzionata” preoccupazione di perdere i capelli, quando le fu diagnosticato per la prima volta un tumore al seno. Una sua amica, ogni qual volta lei esprimesse la preoccupazione riguardo alla possibilità di restare calva, affermava, senza alcun fondamento, che questa era una prospettiva improbabile e che non è più come in passato. In realtà si tratta di un evento molto frequente, che anche nel caso della giornalista del Guardian si è verificata.
La cosa più importante, tuttavia, è che quando una persona esprime una paura, non vuole parlare in maniera più o meno palese di quanto inutile, ridicola, o priva di fondamento questa possa essere: “negare a una persona il bisogno di discutere delle proprie paure è un po’ brutale”.

8. “COSA SI PROVA CON LA CHEMIOTERAPIA?
Ancora una volta le parole della giornalista sono illuminanti: “un numero sconcertante di persone sembra immaginare che la cosa di cui più hai bisogno, nella tua vulnerabilità, è una lunga disquisizione tecnica in cui fornire loro con dettagli esaustivi la percezione della “cosa peggiore” (shit thing) che è mai successa al tuo corpo in tutta la tua vita”.
Ancora una volta la regola d’oro è prendere spunto dalla persona che sta vivendo l’esperienza in prima persona, andando in contro ai desideri in merito ai temi di discussione. La Orr spiega, ad esempio, che lei amava cambiare totalmente argomento per parlare di cose più piacevoli, e ricorda che uno dei momenti più significativi della sua esperienza di degenza è legato a una conversazione avuta con una amica che le confidava che la precedente visita che aveva fatto in ospedale – in cui 8 persone si erano ritrovate accanto al letto della giornalista – era stata uno dei momenti socialmente più validi della sua vita. Cosa che ha reso la Orr incredibilmente orgogliosa.

9. “TI DEVO ASSOLUTAMENTE VEDERE
Non è una buona idea esordire così, in particolare se si intende successivamente indulgere in una lunga serie di dettagli su quanto la propria vita sia complicata e quanto difficile trovare un momento per fissare questo appuntamento.
La Orr ancora una volta accompagna con un aneddoto la sua riluttanza a sentirsi dire una frase del genere, ricordando una amica che continuava a parlarle dell’importanza di doverla vedere, e degli innumerevoli impegni che le stavano impedendo di farlo. A un certo punto, fissato un appuntamento in relazione agli impegni della amica, quest’ultima l’ha contattata per riferire di una crisi nell’assistenza del proprio bambino che le impediva di poter rispettare l’impegno, salvo poi scrivere un tweet in cui dichiarava di stare indossando un vestito da cocktail mentre nel traffico si dirigeva verso un evento a lungo pianificato e molto glamour.
“Posso passare stasera dopo lavoro?”, o ancor meglio “Ho i biglietti per il teatro il 25. Fammi sapere se per quel giorno ce la fai”. Queste le alternative più efficaci individuate dalla giornalista che rinforzano la necessità di ridurre le difficoltà di una persona che per tanti e più importanti motivi già soffre di un problema legato alla propria libertà.

10. “SONO TERRIBILMENTE SCONVOLTO PER LA TUA CONDIZIONE
Un’amica della giornalista, quando per la prima volta ha ricevuto la notizia, ha esordito con un “non posso farcela senza di te”, prima di riversare sulla persona a cui la malattia era stata diagnosticata un “fiume di lacrime”. In seguito, quando l’amica è uscita dal bagno del locale in cui stavano discutendo dell’accaduto, le ha raccontato che mentre si trovava nel gabinetto del pub a piangere, una vecchia signora si era avvicinata per chiederle cosa ci fosse che non andava e dopo aver ascoltato la sua risposta le aveva detto qualcosa del genere: “Cosa? Stai qui a piangere nel lavandino, mentre una tua amica è nel bar con un cancro al seno? Rimettiti in sesto, fatti coraggio ed esci da qui.”
La cosa più importante da ricordare è che se non si è in grado di gestire il dolore per un amico in difficoltà si possono mandare fiori, dolci o pensieri di qualunque genere, ma non “una tempesta appassionata del proprio dolore selvaggio, consegnato di persona.” È chiedere troppo a qualcuno che sta passando un momento del genere, il bisogno di essere consolati rispetto alla possibilità di perderlo.
Deborah Orr conclude il suo articolo rimarcando la necessità di non prendersela troppo con se stessi, qualora qualcuno di noi avesse pronunciato frasi del genere in presenza di una persona che soffre di una malattia così ‘spaventosa’. Ognuno di noi, in presenza di un amico che rischia la vita si sente impotente e molto spesso dice la cosa sbagliata. Lei stessa conferma di aver più volte usato frasi del genere, ma che si è resa conto di come ci si può sentire soltanto quando si è trovata a ricevere questi messaggi, confermando la necessità di porsi nella prospettiva dell’altro all’interno della comunicazione per poter individuare il modo di aiutarlo.
Tuttavia, la cosa più importante, conclude la giornalista, non è dire o meno la cosa giusta, ma essere lì in un momento così terribile e esprimere in tutte i modi a disposizione l’amore per la persona che sta soffrendo.
“Io guardo indietro a quegli orribili momenti di inettitudine e goffaggine con divertimento esasperato e tenero, profondo affetto. La grande lezione che ho imparato dal cancro, è stato il modo splendido in cui i miei amici erano, quantunque strane potessero essere le loro affermazioni. Tutti loro, nelle loro personali, differenti modalità, mi hanno fatto capire quanto mi amavano, e questa è la cosa più utile per ognuno di noi. Sono così fortunata ad averli accanto a me”.

1 commento:

  1. Aggiungeri alle 10 frasi da evitare, quella di non essere curiosi, di non dare nemmeno l'impressione di esserlo. Dev'essere la persona che ha avuto o che sta combattendo contro il cancro a dire qual'è lo stadio della sua malattia e quanto le resta da vivere (non vi sembra interessante questa domanda?).
    Mai chiederlo, sarà lei a dirvelo se lo desidera!!

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